THE LEPRICORNS
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I Leprechaun della tradizione celtica
Il nome Lepricorns è la traduzione inglese del gaelico "Leprechauns", che indica una tipologia di folletti che spesso ricorrono nelle favole e nelle leggende irlandesi derivate dalla tradizione celtica. Il Leprechaun è un ometto alto non più di 150 cm, visto spesso con un cappello verde ravvivato da una piuma. Naturalmente cerca in tutti i modi di non farsi vedere dagli umani perché, come tutti sanno, possiede una pentola d'oro. Se lo si cattura lo si può costringere a cedere il suo tesoro, ma basta girare lo sguardo per un attimo e il Leprechaun svanirà nell'aria. Questo è il linguaggio che si ritrova più frequentemente nelle fiabe irlandesi. In realtà gli studiosi ritengono che la tradizione di questo personaggio risalga al periodo in cui i primi cristiani neutralizzarono il potere e l'influenza che gli dei pagani avevano sugli irlandesi, "trasformandoli" in "piccoli uomini" o "piccolo popolo". A quest'ultimo appartengono, oltre ai Leprechauns, decine di altre entità fatate. Alcune tracce di questi personaggi si trovano nelle varie regioni toccate dalle migrazioni dei Celti nel corso dei secoli, tra cui: Scozia, Bretagna (Francia), Paesi Baschi (Spagna) e Nord Italia. Per esempio, "l'Uomo Grigio" irlandese (Grey Man) diventa così il nostro "Uomo Nero", chiamato ancora oggi in causa per spaventare i bambini italiani. I Leprechauns prendono così il nome italiano di Lepricauni, citati anche dal nostro cantautore Lucio Dalla in una recente intervista relativa alla rinnovata voglia di fantasticare degli italiani, per fuggire dai problemi quotidiani e dalla violenza del mondo moderno.





Nella foto: il nostro portafortuna, sempre presente ai concerti; l'abbiamo chiamato "zio Lepricorn" e proviene dalla bellissima Valentia Island, nel Kerry (Irlanda)
















I folletti solitari (W.B.Yeats)
"Il nome Leprechaun", mi scrive Douglas Hyde, "viene dall'irlandese leitlz brog, cioè Ciabattino-di-una-scarpa-sola, perché di solito lo si vede lavorare a un'unica scarpa. In irlandese si dice Leith bhrogan o leith phrogan, che in certe parti viene pronunciato Luchtyman, come riporta O'Kearney nel suo incomparabile libro Feis Tigh Chonain". Leprechaun, Clurichaun e Far Darrig: si tratta di un solo spirito sotto sembianze e atteggiamenti differenti? Su questo sarà difficile trovare due scrittori irlandesi che concordino. Sono molte le cose in cui queste tre creature fatate, se tre sono, si assomigliano. Sono grinzose, vecchie e solitarie, diverse sotto ogni punto di vista dai socievoli spiriti delle prime sezioni di questo libro. Vestono nel modo più dimesso e sono esseri più che mai sudici, trascurati, beffardi e ingannevoli. Sono i veri grandi burloni del "buon popolo". Il Leprechaun fa continuamente scarpe e ha accumulato grandi ricchezze. Molte pentole piene d'oro, seppellite tanti anni fa in tempo di guerra, ora appartengono solo a lui. All'inizio di questo secolo (il XIX sec., ndr), secondo Crocker, nella sede di un giornale di Tipperary facevano vedere una piccola scarpa dimenticata lì da un Leprechaun. Il Clurichaun (Clobhair-Ceann in O'Kearney) si ubriaca nelle cantine dei signori. Secondo alcuni non è che un Leprechaun che fa baldoria. E pressoché sconosciuto nel Connaught e nel Nord.

I folletti in frotte portano giacche verdi, quelli solitari rosse. Sulla giacca rossa del Leprechaun, secondo Mac Anally, ci sono sette file di bottoni, con sette bottoni per ogni fila. Egli afferma che sulla Costa occidentale la giacca rossa è coperta da una di panno e che, nell'Ulster, la creatura indossa un cappello a tre punte e quando sta combinando qualcosa di particolarmente dispettoso salta su un muro e si mette a ruotare su sé stessa stando in equilibrio sulla punta del cappello, con i tacchi in aria. Mac Anally racconta di come una volta un contadino abbia visto una battaglia tra i folletti dalla giacca verde e quelli dalla giacca rossa. Quando quelli dalla giacca verde cominciarono a vincere, il contadino fu così contento di vedere i verdi battere i rossi che lanciò un forte grido. In un attimo tutti svanirono e lui fu gettato nel fosso.

Il Far Darrig (fear dearg), che significa Uomo Rosso, perché porta un berretto e un gabbano rossi, pensa solo a combinar scherzi, in special modo macabri. Non fa nient'altro che questo. Il Fear-Gorta (Uomo della Fame) è un emaciato fantasma che percorre in lungo e in largo il paese in tempi di carestia, chiedendo l'elemosina e portando fortuna a chi gli dà qualcosa. Ci sono altre creature fatate solitarie, come lo Spirito della Casa e lo Water-sheerie, fratello dell'inglese Jack-o'-Lantern; il Pooka e la Banshee; il Dallahan, o fantasma senza testa, che fino a poco tempo fa se ne stava in una strada della contea di Sligo nelle notti scure; il Cane Nero, forse una 4 delle incarnazioni del Pooka. Certe volte le navi ormeggiate sui moli dello Sligo vengono infestate da questo spirito, che annuncia la sua presenza con un rumore che assomiglia a quello che si produrrebbe lanciando giù nella stiva "tutte le ciotole di latta del mondo". Segue le navi anche in mare aperto. La Leanhaun Shee (Amante Fatata) brama l'amore dei mortali. Se loro glielo rifiutano, finisce per divenire loro schiava; se lo concedono, allora sono loro gli schiavi; possono sottrarsi solo trovando un altro che prenda il loro posto. Questa creatura vive della loro vita ed essi avvizziscono. La morte non basta per sfuggirle. E' la musa gaelica, perché ispira coloro che perseguita. I poeti gaelici muoiono giovani, perché lei è inquieta e non sopporta che rimangano a lungo su questa terra - malefico spirito che non è altro. Oltre a questi ci sono una serie di altri mostri - l'Augh-iska, il Cavallo d'Acqua; il Payshtha, il Drago del lago, e altri dello stesso genere; ma se siano animali, folletti o spiriti, io non so davvero".



























Il leprechaun; ovvero il ciabattino fatato (ballata di William Allingham) I.
Oh piccol vaccaro, ma cosa hai udito,
sul tumulo verde del forte segreto?
Solo il mesto uccellino gialloº,                     ºCioè lo zigolo giallo, o yarlin.
che va sospirando nei prati assolati?
Cauto, cauto, cauto, aspetta!
Soltanto l'ape e la cavalletta?
"Tip-tap, rip-rap
ticchete e tacchete e tu!
Pelle scarlatta, insieme cucita,
ciò basterà a fare una scarpa.
Sinistra, destra, tira ben stretta;
caldi saranno i giorni d'estate,
ma nell'inverno giù sotto terra
io me ne rido della bufera!"
Alla collina poggia l'orecchio.
E non lo senti quel piccol rumore
il ticchettare dell'elfo che picchia,
e il canto stridulo del leprechaun
mentre è contento del suo lavorare?
E giusto una spanna
e un quarto in altezza.
Quando lo vedi, non lo mollare:
e diverrai di tutto rispetto!

II.
Tu guardi il gregge in un giorno d'estate,
dormi nel fieno, mangi patate;
non ti garberebbe viaggiare in carrozza,
e a una duchessa propor le tue nozze?
Se il ciabattino tu prenderai - beh sì, allora potrai!
"Stivali grandi da cacciatore,
e poi dei sandali per celebrare,
scarpine bianche per chi ha da sposare,
e quelle rosa, per chi vuol danzare.
Qui così, là cosà,
ecco una scarpa come si fa;
a ogni punto siam ricchi di più
ticchete e tacchete e tu."
Nove e novanta pentole d'oro
ha questo folletto astuto e avaro.
Nascoste in montagna, in foreste e dirupi,
rovine e torrioni, caverne e fortezze,
e là ove nidificano i cormorani;
da tempi remoti
da lui custodita
ognuna è ricolma
fin troppo
di oro!

III.
L'ho colto all'opera un giorno io stesso
al castello, nel fosso, dov'è la digitale,
un elfo barbuto, rugoso, aggrinzito,
gli occhiali poggiati sul naso appuntito,
e sulle babbucce le fibbie d'argento,
grembiule di cuoio - in grembo la scarpa -
"Rip-rap, tip-tap
ticchete e tacchete e tu.
(Un bel grillo dal fossato
m'è volato sul cappello!)
Stivaletti pel principe fatato,
per suo figlio gli scarponi.
Pagate bene, ben pagate
quando il lavoro mio è finito."
La colpa fu mia, non c'è dubbio alcuno.
Lo guardai, lui mi guardò;
"Servitor suo, signore". Lui risponde: "Huff!",
e tira fuori il tabacco da fiuto.
Dopo una presa, sembra contento,
Quel piccol bizzaro leprechaun;
mi offrì la scatola con grazia strana,
e poi... Tutto il tabacco m'ha soffiato in faccia,
e mentre starnuto, ne perdo ogni traccia.


Le bretelle scarlatte
Se c'è una cosa che la gente d'Irlanda conosce bene sono proprio le abitudini dei lepricauni irlandesi. Vi racconteranno che sono loro a fare tutte le scarpe e gli stivaletti che portano le fate. Vi racconteranno che ogni lepricauno ha una pignatta piena d'oro nascosta in un luogo segreto e v'insegneranno che se, per caso, ne incontraste uno dovete tenere gli occhi fissi su di lui altrimenti sparirà. Per questo, Pat Fitz Patrick non faceva altro che andare in giro tutto il giorno dicendo fra sé: "se mi capita di vedere un lepricauno, non gli leverò gli occhi di dosso finché non mi avrà detto dove tiene nascosta la sua pignatta con l'oro. Pat avrebbe fatto meglio ad aiutare di più sua madre a piantare e a raccogliere le patate, piuttosto che perdere tempo dietro ai lepricauni e alle pignatte piene d'oro. Però, alla fine, le sue ricerche furono premiate. Un bel giorno Pat vide un omino non più grande della sua mano che, seduto su un fungo, stava cucendo un paio di scarpe per una fata. Pat rimase a bocca aperta per lo stupore. "Una cosa è certa: non gli toglierò gli occhi di dosso; non finché non sarò diventato il ragazzo più ricco di tutta l'Irlanda grazie al suo oro", pensò Pat. Quatto, quatto, si fece strada tra l'erba e… ZAC!!! Imprigionò il lepricauno nella sua mano. "Ah, ti ho preso! Ora dimmi dove nascondi l'oro", intimò Pat.

"Oh, perché spaventi a morte una piccola creatura come me", gridò il lepricauno, mentre il suo cuoricino batteva a precipizio sotto la manona di Pat. "Eppoi, cos'è questa storia dell'oro. Ma che ne so io. Io non ne so proprio niente". Pat strizzò un po' più forte il lepricauno continuando a fissarlo. "Non fare il furbo con me, capito! Non ti lascerò andare, finché non mi avrai detto dove nascondi la tua pignatta piena d'oro". Il lepricauno si divincolò forte e, tirando fuori una manina, indicò un punto oltre la spalla di Pat, gridando: "Corri ragazzo! Presto! La tua mucca è entrata in un campo di grano!" Pat stava per girarsi a guardare quando, all'ultimo momento, capì che si trattava di un trucco per fargli distogliere lo sguardo. "Ah, inventane una migliore!", disse scuotendo il lepricauno. "Non ti toglierò gli occhi di dosso finché non avrai messo in mano mia la pignatta piena d'oro". Allora, il lepricauno scoppiò a piangere in maniera pietosa: "Oh, ragazzo crudele. Oh, ragazzo senza cuore. Te ne stai qui a parlare di oro, mentre la tua casa brucia con tua madre dentro".

"Cosa?" Colto alla sprovvista, Pat si fece quasi sfuggire il lepricauno di mano e corse a casa. Ma non gli ci volle molto per rendersi conto che si trattava di un altro trucco e, dalla rabbia, scosse così tanto il lepricauno da farlo diventare verde come la sua giacchetta.

"Va bene, va bene", farfuglio infine il povero lepricauno. "Ti dirò dove potrai trovare la mia pignatta piena d'oro". "Sono sicuro che non lo faresti se ti lasciassi libero", gli disse Pat. E togliendogli le bretelle scarlatte, gliele legò attorno a mo' di guinzaglio. Il piccolo ciabattino magico guidò Pat fino in cima alla collina, in mezzo a un campo dove fiorivano migliaia di cardi. Si fermò vicino a un cardo che era esattamente uguale agli altri. "Visto che non mi togli gli occhi di dosso, non posso mentirti. La mia pignatta d'oro è sepolta sotto questo cardo. Credo, però, che ti ci vorrà una vanga per scavare".

"Ah, un altro dei tuoi trucchi!", lo schernì Pat, scuotendolo fino quasi a fargli schizzare gli occhi fuori dalla testa. "Tu pensi che io non sarò mai capace di ritrovare questo cardo fra tutti gli altri che gli somigliano, vero? Ora vedrai!" Slegò le bretelle rosse del lepricauno e le legò con un fiocco intorno al cardo. Poi, s'infilò il lepricauno in tasca. Ma, nel momento stesso in cui gli tolse gli occhi di dosso, il lepricauno… (PSSSSS!)… sparì dalla sua vista con un soffio.

Ma, ormai, non gliene importava più niente. Corse a casa più presto che poteva a prendere una vanga. Era pesantissima e dovette trascinarsela dietro fino alla collina. "Pensava di farmela, eh?", ansimava. "Beh, non aveva fatto i conti con la furbizia di Pat Fitz Patrick!" Sudando e ansimando, si fermò in cima alla collina per asciugarsi la fronte. Ma quel che vide lo fece quasi stramazzare al suolo. Da ogni cardo penzolava un paio di bretelle scarlatte. Per tutto il campo, a perdita d'occhio, migliaia di cardi e di bretelle scarlatte. Sperare di ritrovare il cardo del lepricauno sarebbe stato come pensare di poter distinguere, nel mare, una goccia dall'altra.

Perciò, se per caso vedete un lepricauno e pensate di rubargli la pignatta d'oro, farete meglio a non perderlo d'occhio e a non dimenticarvi la storia di Pat Fitz Patrick e delle bretelle scarlatte.


La pentola d'oro
Viveva un tempo un giovane contadino di nome Gimmy. Era un grande lavoratore ma, purtroppo, la terra della sua fattoria sembrava produrre solo sassi. Era arida e, nonostante tutti i suoi sforzi, non produceva quasi nulla, neppure erba a sufficienza per due pecore. Un giorno Gimmy, deluso e stravolto dalla fatica, decise di abbandonare il lavoro. Salì su una collinetta e si sdraiò al sole. Si era quasi appisolato quando udì un picchiettio regolare, simile a quello del picchio quando becchetta contro un albero. Ascoltò con attenzione e si accorse che il rumore non veniva dall'alto ma dal sottosuolo. Muovendosi con cautela Gimmy esplorò il prato palmo a palmo e scoprì, in una piccola fessura, un folletto che stava aggiustando delle babbucce sul suo deschetto. Era un leprechaun, un calzolaio delle fate. Il folletto batteva e ribatteva, e intanto continuava a brontolare: "Sono proprio stanco di passare le mie giornate qui, sempre seduto a questo deschetto. Se non mi facessero male tutte le giunture, correrei fin sulla cima del monte Alligin, dove è nascosta la pentola d'oro". Gimmy aveva ascoltato con grande attenzione. Si rivolse al folletto e gli propose: "Se vuoi, posso andare io, che sono più giovane di te, a cercare il tesoro sul monte Alligin".

"Sei sicuro di essere abbastanza forte da riuscire ad arrampicarti fin lassù?"

"Certo, sono stanco e affaticato dal lavoro ma forte a sufficienza." Il folletto allora spiegò al giovane come fare per trovare la pentola d'oro: "Devi salire fin sulla cima, cercare un salice piangente che nasconde con i suoi rami una pietra nera come la pece. Scava sotto la pietra e troverai una pentola piena d'oro. Ora fa' attenzione! Dovrai prendere solo l'oro che riuscirai a mettere nel tuo cappello, neanche un filo di più. Portamelo e io, in cambio del tuo aiuto, ti darò una moneta d'oro ogni tre". Gimmy, che non era avido, accettò l'accordo proposto dal folletto, mise le gambe in spalla e si avviò di buon passo verso il monte.

Salì e salì e finalmente raggiunse la cima. Era stata una camminata davvero faticosa! Si guardò attorno e vide il salice e la pietra nera, proprio come gli aveva raccontato il folletto calzolaio. Spostò con fatica la pietra nera, che era molto grossa e pesante, e sotto vide una gran pentola piena fino all'orlo di monete d'oro luccicanti. Ebbe per un momento la tentazione di imbottirsi tasche e taschini di monete, poi ricordò le parole del folletto e decise di seguire i suoi consigli. Si tolse il cappello, lo riempì di monete, rimise a posto la pietra nera e ridiscese la montagna.

Il piccolo lepricauno lo stava attendendo con ansia. Fu felice quando vide che il giovane aveva seguito a puntino le istruzioni e si mise con puntiglio a fare la spartizione: una a te, tre a me, una a te, tre a me...

I due mucchi erano fatti. Gimmy ringraziò il folletto che si rimpiattò nella sua fessura, poi guardò l'oro e vide che il calzolaio aveva in realtà diviso il bottino a metà. Felice, tornò a casa e decise di investire con oculatezza la sua fortuna. Comprò altra terra e altro bestiame, irrigò i suoi campi, assunse persone che lo aiutassero a liberarli definitivamente dai sassi. Ben presto divenne padrone di una fiorente fattoria.

La sua improvvisa ricchezza incuriosiva tutti in paese, ma soprattutto il suo vicino, un uomo avido e invidioso di nome Flanagan. Questi, un giorno, si fece raccontare da Gimmy la sua avventura e decise di tentare anche lui la sorte. Si mise in cammino con un gran sacco sulle spalle. Salì sulla cima del monte, trovò la pentola, e iniziò a riempire il sacco. Poi, non ancora soddisfatto, riempì di monete le tasche dei pantaloni, riempì il cappello, si tolse la camicia e fece un fagotto per trasportare altro oro. Era talmente carico che barcollava sotto il peso. Faticosamente scese la montagna. Quando fu presso la collina del folletto udì una vocina che diceva: "Una moneta a te, tre monete a me". Flanagan si guardò intorno, non vide nessuno e fece finta di niente. Allora udì di nuovo la vocina, sempre più irritata: "Credi che ti permetterò di rubare il mio tesoro? Ho lavorato tutta la vita per accumulano e non lo lascerò certo a un avaraccio come te". Nel prato si aprì una crepa che andò aumentando di proporzioni sino a diventare una vera e propria voragine. E fu lì dentro che una forza misteriosa risucchiò tutto l'oro che Flanagan aveva preso senza il permesso del folletto calzolaio.


Una gobba, due gobbe (sintesi di "La leggenda di Knockgrafton" di Thomas Crofton Croker
Viveva una volta, nel sud dell'Irlanda, vicino alla cittadina di Cappagh, un gobbo. Era così deforme questo poverino che sembrava si portasse tutto il corpo sulla schiena e che le sue povere gambe reggessero a stento quel gran fardello, che lo costringeva a tenere la testa piegata in avanti e a guardarsi in continuazione i piedi. Era una persona tranquilla e inoffensiva ma il suo aspetto lo faceva temere dalla gente, che aveva cominciato a sparlare di lui, affermando che sapeva riconoscere le erbe magiche e fare con queste filtri e incantesimi. Lo consideravano uno stregone. In realtà il gobbo si guadagnava da vivere intrecciando giunchi e paglie, con cui fabbricava cesti e cappelli con grande abilità. Anche lui portava sempre uno dei suoi cappelli e lo ornava con un rametto di digitale, pianta detta anche il "cappuccio delle fate". Una sera stava tornando a casa dalla graziosa città di Cahir, era molto tardi ed era molto, molto stanco. La gobba gli pesava come non mai e decise di fermarsi un poco a riposare vicino al tumulo di Knockgrafton. Si stava quasi appisolando, quando gli giunse all'orecchio un coro a molte voci. Le voci salivano, scendevano, facevano variazioni armonizzandosi tra loro. Lusmore (questo era il soprannome del gobbo) restò attonito: mai gli era capitato di sentire una musica così piacevole. Tendendo l'orecchio si sforzò di capire anche le parole della canzone e fu allora che scoprì che erano sempre e solo due: "Lunes, Martes, Lunes, Martes...".

Il gobbetto se ne stette buono per un po', poi, stufo delle continue ripetizioni, approfittò di una piccola pausa del coro e riprese la melodia aggiungendo: "E Mercole ancora". I folletti che, dentro il tumulo, stavano cantando la loro magica canzone, restarono così conquistati dalla nuova aggiunta che decisero di adottarla seduta stante e di festeggiare e onorare l'autore. Lusmore fu portato dentro il tumulo, riverito e servito, trattato con ogni onore e gentilezza. A un tratto il capo dei folletti gli si avvicinò, pronunciò una filastrocca magica e... la gobba ruzzolò giù dalle spalle di Lusmore. Egli, per la prima volta in vita sua, poté alzare la testa, guardare in alto e sentirsi tanto leggero e agile da poter balzare come un gatto sui tetti. Tutto gli appariva splendido e lucente, così lucente da fargli girar la testa. Era così sbalordito ed emozionato che svenne. Quando ritornò in sé, Lusmore era disteso accanto al tumulo, ma il sole brillava già alto. Si toccò la schiena, preso dal timor panico di sentire nuovamente la gobba: nulla, non c'era neppure una traccia della sua deformità e, per di più, i folletti lo avevano rivestito tutto a nuovo. Felice e pimpante se ne tornò a casa ed ebbe il suo bel da fare per convincere i suoi paesani che era il medesimo Lusmore di prima. Ben presto la sua avventura con i folletti fu sulla bocca di tutti e, mercato dopo mercato, raggiunse anche i paesi vicini. Un giorno Lusmore era seduto a fumare sulla soglia di casa quando giunse una donna da una contea vicina. Cercava informazioni su Lusmore e il modo in cui era riuscito a farsi togliere la gobba, per poter ripetere lo stesso incantesimo al figlio di una sua vicina, gobbo anch'egli dalla nascita.

Lusmore, che era di cuore buono, raccontò alla donna tutti i particolari della sua avventura e le indicò il luogo preciso dove si trovava il tumulo incantato. La donna tornò a casa, ripeté alla vicina ansiosa l'avventura di Lusmore dalla A alla Z e insieme decisero di caricare il gobbetto su una carretta e trasportarlo fino a Knockgrafton. Fu un viaggio lungo e faticoso ma al calar della notte erano sul posto e lì lo lasciarono. Il gobbetto, che si chiamava Jack, aveva un caratteraccio. Impaziente e stizzoso, quando sentì il canto risuonare all'interno del tumulo, non aspettò un momento di pausa per inserirsi nel coro, anzi, in modo sgraziato e importuno, si mise a berciare: "...e Mercole ancora e anche Giove...". Pensava infatti che, se l'aver aggiunto al canto un giorno della settimana aveva fruttato a Lusmore la perdita della gobba e un vestito nuovo, due gli avrebbero fruttato due abiti e forse un pastrano. Le parole gli erano appena uscite dalla bocca che venne trasportato da un gran turbine dentro il tumulo e circondato da folletti inferociti. "Hai sciupato la nostra canzone! Hai rovinato il nostro divertimento preferito!" In men che non si dica i folletti afferrarono la gobba di Lusmore e la appiccicarono sopra quella che il povero Jack aveva già; poi lo scacciarono dal loro castello. Il mattino seguente le due donne lo ritrovarono mezzo morto, curvo sotto l'enorme peso delle due gobbe. Lo riportarono a casa e, finché visse, Jack maledì tutti coloro che ascoltavano melodie fatate e avevano rapporti con i folletti.


Racconti e barzellette - Contributi degli amici e dei Leprifan
Da: Ivano Moretti - lunedì 6 giugno 2005 Incontro di un Ivano con un membro del piccolo popolo ....ed è una storia vera! (o una fiaba moderna...)
Ciao Ragazzi, vi racconto questi accadimenti....incredibili ma reali.. Antefatto: gita a Monforino, località Golasecca (parco del Ticino) per visita dei Cromlech, manufatti archeologici ove venivano sepolte le urne dei defunti nell'epoca post-preistorica. Data: domenica 5/06/05. Boschi all'altitudine di ca. 300 m. Mentre il sottoscritto, in compagnia del fido servo Albert (in realtà l'amico Alberto, ndr) seguiva il percorso archeologico, circa in zona 11... ecco il sentiero perdersi in un campo d'erba immenso che parrebbe una pista da discesa se fosse innevata. I compari subito in difficoltà decisero di seguire verso valle nella speranza di trovar la via. Poi, in una radura sotto un grosso albero, mentre il prode pensava sul da farsi, il compagno Albert s'accucciava come a guardar tra le frasche e lì entrambi videro il piccolo essere, minuscolo, cheto, che ti osservava coi grandi occhioni scuri. Piccolo come un riccio di castagna, ma ben fatto, finito... non pauroso, ma curioso... fermo, ma attivo. Poi il prode gli porse una carezza e i due capirono, fecero delle foto... erano entrati in contatto con un mondo nuovo, diverso e subito il sentiero, come per magia, apparve innanzi a loro... avevano incontrato un rappresentante del piccolo popolo... le famose leggende celtiche erano vere... un leprechaun nei boschi del Ticino... Conclusione: ciò che ha alimentato le fiabesche leggende - ora è tutto chiaro come il giorno - non sono nient'altro che le piccole creature del bosco, i piccoli animali... in questo caso un minuscolo leprotto, probabilmente appena nato, che al loro apparire strabiliano e rendono la natura meno ostile, aprendo le strade del ritorno a casa... Domenica, cari amici, ho visitato il mondo delle fate, ve l'assicuro. Non sto scherzando e questa storia, per quanto strana, è proprio vera.




Da un leprifan (questo racconto è stato scelto innanzi tutto perché i Lepricorns credono molto nel pensiero positivo, che cercano di trasmettere anche con la loro musica, e poi anche perché la ranocchia portafortuna che segue è praticamente l'immagine riportata sulla copertina del primo Cd demo della Band, 1999; inoltre... vedi barzelletta successiva, ndr): La parabola del ranocchio... OVVERO: LEZIONE DI VITA N. 1

C'era una volta una gara ... di ranocchi
L'obiettivo era arrivare in cima a una gran torre.
Si radunò molta gente per vedere e fare il tifo per loro.
Cominciò la gara.
In realtà, la gente probabilmente non credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi tipo: "Che pena !!! Non ce la faranno mai!"
I ranocchi cominciarono a desistere, tranne uno che continuava a cercare di raggiungere la cima
La gente continuava : "... Che pena !!! Non ce la faranno mai!..."
E i ranocchi si stavano dando per vinti tranne il solito ranocchio testardo che continuava ad insistere. Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio che, solo e con grande sforzo, raggiunse alla fine la cima. Gli altri volevano sapere come avesse fatto.
Uno degli altri ranocchi si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere la prova.
E scoprirono che...
era sordo!
...Non ascoltare le persone con la pessima abitudine di essere negative...
derubano le migliori speranze del tuo cuore!
Ricorda sempre il potere che hanno le parole che ascolti o leggi.
Per cui, preoccupati di essere sempre

POSITIVO !

Riassumendo : Sii sempre sordo quando qualcuno ti dice che non puoi realizzare i tuoi sogni.
Statemi bene!

Quella che segue è una barzelletta che ha ispirato l'inserimento del suono di una rana all'inizio della traccia 12 ("The crock of gold") all'interno del CD dei Lepricorns "Irish and Scottish Tunes", 2005. Nota: il suono è prodotto da una vera rana in legno che la band usa spesso nei suoi concerti.

Where do frogs keep their treasure? (Dove tengono il proprio tesoro le rane?) In a croak of gold at the end of the rainbow! (In un "cra cra" alla fine dell'arcobaleno) La barzelletta è basata sul gioco di parole tra croak (il gracchiare delle rane) e crock (la pignatta - o il pentolone - che i Lepricorns riempiono dei loro tesori e che si dice sia nascosto in fondo all'arcobaleno).

Da: Robert Neilley (il nostro amico irlando-americo-bergamasco, ora nuovamente residente negli Usa)





"Il vero piccolo grande amore" (tipica barzelletta irlandese sui lepricorns)

Una volta una bella signorina stava facendo una passegiata nel bosco. Mentre lei pasava un grande albero vede un piccolo uomo facendo pi-pi. Lei è embarassata e dice > scusi> e torna dal altra parte del albero. Fra poco emerge il piccolino. La signorina si scusa di nuovo. Poi lei dice > Posso chiedere una cosa?> > Cerrrrto> dice lui. Lei, > Tu sei solo un metro in altezza però hai un membro enorme.> Lui risponde, <Sono un lepricorn e siamo tutti armati così. Il mitico salame irlandese.> Lei dice, <Fra tutte le storie di lepricorn non ho sentito questo.> Lui risponde <Ma l'hai visto, vero?> Lei dice di si e poi aggiunge > Peccato che mio ragazzo non ne avesse uno grande così.> Il piccolino risponde <Beh, questo e il tuo giorno fortunato. Perché tu mi hai visto io devo darti tuo desiderio. Dunque posso fare questo favore al tuo ragazzo.> Lei è contentissima. Poi il piccolo continua <Questo non è gratis comunque. Dovresti farmi un servizietto> Lei dice subito di no. Lei è fedele al questo ragazzo. Ma dopo un po' lei comincia di repensarci. Certamente nessuno può sapere che lei ha fatto questo, e anche questo piccolo è davvero grande. Pensa OK, perché no? Lei comincia. Dopo un poco lui dice <scusami, non ho chiesto nemmeno tuo nome.> Lei dice<Silvia> . E lui dice <E Silvia quanti anni hai?> Lei risponde <27> . E lui dice, <Silvia, non pensi che tu sei un po' vecchia per credere sempre in lepricorns?> Sono sicuro che mio italiano non è giusto (un po' ho dovuto ritoccarlo - ma non troppo - perché Rob è di origini irlandesi e ha vissuto sempre negli Stati Uniti, fino a quando ha deciso di trasferirsi a Bergamo; già è proprio un "american-irlando- bergamasco", ndr). Un bello di questo è prima di raccontare scegliare una ragazza presente e usare suo nome ed età. Poi sperare che lei ha un senso di umorismo. Cerco altre barzellette di lepricorn. Ne ho sentito molte ma devo ricordarle. Felice buon anno anche a te ed a tutti i lepricorns

Robert

Il giorno 5-01-2002 18:03, Robert Neilley, neilley@tin.it ha scritto:

An Irish Tale About Beers

After the last Great Britain Beer Festival in London, the brewery presidents went to a pub. The man from Corona sat down and said, "Senor, I would like the world's best beer, a Corona." The bartender dusted off a bottle from the shelf and gave it to him. Budweiser's leader said, "I'd like the king of beers, a Budweiser." The bartender found one and gave it to him. The Coors chief said, "I'd like the only beer made with Rocky Mountain spring water, a Coors." The bartender fetched one from the cellar. The Guinness man sat down and said, "Give me a Coke." The bartender is a bit taken aback, but gives it to him. Finally, the bartender had to ask: "Why aren't you having a Guinness?" The Guinness man replied, "Well, I figured if they aren't having beer, neither should I."